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Linguaggio e lingua
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LINGUAGGIO e LINGUA
 
Jacqueline Bickel
 
 
 
Innanzitutto è opportuno che ogni insegnante abbia ben chiaro il significato di questi due termini, spesso usati quasi come sinonimi, mentre sinonimi non sono.
Linguaggio è una funzione della mente, ereditata col DNA da ogni bambino, e cioè la capacità di codificare il proprio pensiero. Codificare vuol dire rendere equivalente un significato percettivo, già acquisito nel pensiero, ad una breve sequenza di suoni, corrispondente ad una parola o ad una frase di una lingua.
Grazie all’equivalenza, che si viene a stabilire fra i precisi significati di pensiero e le parole di una lingua, si realizza un notevole processo di economia. Infatti i contenuti di pensiero sono composti da un insieme di dati percettivi diversi, che occupano spazio nel computer mentale; ad esempio, nel caso della persona “mamma”: dati visivi di forma e colore, uditivi relativi alla voce, motori relativi ai gesti, odorosi e anche gustativi, se il bambino è allattato al seno, dati che vengono compressi e resi equivalenti alle due sillabe “mam-ma”. Questo risparmio di spazio mentale presenta dei notevoli vantaggi nella successiva attività di elaborazione attorno a parole/significato, che sarà effettuata grazie alle relazioni e agli schemi logici.
Lingua invece è un termine che si riferisce ad uno dei numerosi codici che l’uomo si è apprestato a fini comunicativi. Ogni lingua rappresenta la forma udibile, concreta, registrabile con cui ogni bambino inizia a realizzare la propria capacità di linguaggio.

 

Per capire come mai i due termini linguaggio e lingua vengano spesso usati come sinonimi, è possibile servirsi di una analogia: quella del burattinaio che, inserendo la sua mano all’interno dei suoi burattini, li fa agire, combattere, parlare, anche se questi sono di per sé inerti. Il linguaggio, come il burattinaio, si riveste, indossa la lingua e la utilizza per raggiungere gli scopi più vari. Come i burattini sono oggetti inerti se non sono usati dal burattinaio, così le parole e le frasi di ogni lingua sono di per sé forme inerti, a meno che siano manovrate dal SNC, ossia dal SNC di chi parla. Linguaggio e lingua perciò si presentano sempre intimamente uniti, anche se la lingua risulta sempre l’unico aspetto concreto, che emerge all’esterno.
È il linguaggio, ossia la mente di chi parla, che fa svolgere alla lingua diverse funzioni. La prima, funzione semantica, ha lo scopo di collegare con precisione i vari contenuti di pensiero, o significati, con le parole di una lingua, e le relazioni fra significati con le frasi.
La seconda funzione del linguaggio, o funzione pragmatica, si riferisce agli scopi per i quali chi parla usa la lingua. Gli usi della lingua sono numerosi e diversi, ma tutti più o meno riconducibili a due grandi gruppi:
usi sociali, per comunicare con gli altri;
usi cognitivi, per apprendere e per riflettere, cioè per comunicare con se stessi.

 

Ogni bambino apprende per primi gli usi sociali, che richiedono forme linguistiche semplici e limitate, il cosiddetto codice ristretto, in quanto per precisare l’intenzione comunicativa possono continuare ad usare anche gli altri segnali, già usati nella comunicazione non verbale, quali intonazioni, gesti indicativi, posture corporee, sguardi ed espressioni mimiche. Inoltre con gli usi sociali vengono espressi contenuti ed argomenti di facile comprensione perché condivisi da chi prende parte alla comunicazione.
Tutti gli usi sociali compaiono spontaneamente dietro imitazione dei modelli offerti dal contesto; il loro scopo è di allargare il raggio della comunicazione non verbale, poiché possono riferirsi ad oggetti non presenti o agire sugli altri anche a distanza. Ad esempio per attrarre l’attenzione, se qualcuno è vicino basta toccarlo, ma se è lontano è necessario chiamarlo; se si desidera qualcosa che è presente è sufficiente indicarla, ma se non è visibile può essere richiesta.
Uno dei primi usi che i bambini imparano alla scuola dell’infanzia è l’aggressione a distanza di sicurezza, tramite il repertorio di “parolacce”, poiché si accorgono presto che se tirano i capelli o danno una spinta a un coetaneo corrono il rischio di venire ripagati, mentre col linguaggio hanno il tempo e il modo di proteggersi. Altri usi sociali che i bambini imparano presto sono: quello di scusarsi “non sono stato io” o di autoaffermarsi : “tocca a me”.
Gli usi cognitivi iniziano a formarsi quando oggetti di uso quotidiano, già inseriti nella mappa cognitiva infantile, vengono codificati con parole diverse, o collegati fra loro in modo nuovo ed originale dando luogo ad una forma più elaborata del codice disponibile.
Il bambino nizia a formare così il codice elaborato, che presenta un vocabolario più ampio e specifico, che espande la frase da semplice a composta e poi a complessa con l’uso delle subordinate, ma che soprattutto arriva a collegare fra loro più frasi in discorsi, grazie all’uso di particolari parole quali pronomi e congiunzioni, che hanno lo scopo di riassumere quanto già detto o di riferirsi a conoscenze implicite, condivisibili ed evocabili tramite inferenze.
Gli usi cognitivi rappresentano la maggior parte delle conoscenze attivate e richieste dal sistema scolastico. Ogni bambino non li apprenderà in modo spontaneo dietro la semplice presentazione di modelli, ma dovrà costruirseli grazie alla mediazione dell’insegnante, che avrà il compito di guidarlo all’organizzazione logica dei suoi contenuti mentali di tipo percettivo e pratico, secondo i suoi ritmi e le sue inclinazioni personali.
All’ingresso nella scuola dell’infanzia solo alcuni bambini avranno già avuto l’occasione di essere esposti all’interno del nucleo familiare ad alcuni usi cognitivi, quali il commento su oggetti o eventi della vita quotidiana, la descrizione di cibi, vestiti o altri oggetti comuni, o il racconto di storie o novelle, e questo può già creare una notevole differenza sul piano della competenza linguistica nei confronti di chi invece è nato in una famiglia ove tali usi vengano poco praticati.
 
Dopo aver esaminato le funzioni del linguaggio è opportuno dare uno sguardo anche alla lingua. Tutte le lingue hanno una forma composta da tre strutture, ben note agli insegnanti: fonologia, lessico, sintassi. Non si tratta tuttavia di tre strutture indipendenti, ma derivate da un’unica combinatoria di progressiva complessità.
La lingua si presenta infatti come la bambola russa della combinatoria. Ogni lingua fa una prima scelta di un numero relativamente esiguo di suoni che avranno funzione di fonemi, cioè di suoni in grado di cambiare il significato delle parole; quindi stabilisce la combinazione accettabile di due o più suoni per formare le sillabe, unità minime della produzione linguistica orale; poi
  • le sillabe vengono combinate in precisa relazione fra loro per formare parole, che rappresentano un unico significato;
  • le parole sono combinate in precisa relazione fra loro per formare frasi, che tendono a stabilire un unico rapporto fra significati;
  • le frasi saranno combinate in precisa relazione fra loro per formare discorsi, che tendono ad elaborare attorno ad un unico argomento.
Ogni lingua va appresa dai bambini, quindi va insegnata, anche se in modo del tutto informale, cioè chi la impara, ma anche chi la insegna, è del tutto inconsapevole di farlo. I bambini imparano la prima lingua, detta anche lingua materna, con la combinazione di quattro diverse competenze: la capacità di comunicare, la formazione dei primi pensieri, la codifica dei propri pensieri, la costruzione mentale del centro di Broca, ove vengono depositati gli automatismi motori relativi alla rapida esecuzione di sequenze di suoni relativi alla pronuncia. Tali competenze saranno ora brevemente esaminate.
 
Comunicazione. Il neonato inizia molto presto a comunicare innanzitutto col pianto, per esprimere situazioni di disagio. Subito dopo effettua la comunicazione con la postura globale del corpo: si sporge verso ciò che desidera, in genere il nutrimento, e si ritrae da ciò che non vuole più, quando è sazio. Presto utilizzerà per la comunicazione una specifica parte del corpo: lo sguardo che si fissa su ciò che lo interessa, ed infine il gesto indicativo della mano prima e del dito poi. Sguardo e gesto indicativo continueranno ad essere utilizzati, come è noto, anche dall’individuo adulto.
La presenza di una intensa comunicazione non verbale è indispensabile alla successiva attivazione della comunicazione verbale, tramite il linguaggio, dato che quest’ultima ne permette l’ampliamento, potendo riferirsi proprio ad oggetti lontani o non presenti.
 
Formazione dei primi pensieri. Vengono indicati come primi pensieri i circuiti mentali di tipo percettivo ed emotivo che il bambino piccolo inizia a formare nella propria mappa mentale episodica in riferimento ad oggetti dell’ambiente circostante, ad azioni su questi oggetti, prevalentemente per afferrarli, e a preferenze emotive del tipo mi piace non mi piace. Sono questi i primi pensieri del periodo sensomotorio piagetiano, durante il quale il bambino individua scopi da raggiungere e parti del proprio corpo utili a realizzarli.
Durante il primo anno di vita infatti il piccolo riesce a separare dal moto globale il movimento di singoli segmenti corporei per muoverli in modo indipendente, procedendo in senso cefalo-caudale, dalla testa verso la parte bassa del corpo, e prossimo-distale, dal corpo verso le parti ultime dei singoli arti: mani, piedi. Egli riesce infine a conquistare la posizione eretta e ad acquisire le prime autonomie nel nutrirsi da solo, con le mani, arricchendo progressivamente, a mano a mano che diventa più autonomo, il deposito di pensieri nella sua mente.

 

Codifica dei propri pensieri. La stretta associazione fra pensiero e parola, o funzione semantica del linguaggio, nella sua fase iniziale viene modellata dalla madre che tende a codificare le azioni o i tentativi di azione del bambino con commenti gioiosi mentre egli mangia, fa il bagno, viene spogliato o vestito. Il bambino inizia così a comprendere i significati veicolati dalle sequenze di suoni della lingua materna, parole e sintagmi.
Con l’accumularsi dei significati compresi egli inizia a costruire nella zona sinistra del suo SNC il centro del linguaggio, o centro di Wernicke, posteriore al solco di Rolando, da cui partiranno successivamente gli impulsi per realizzare l’espressione parlata, utilizzando le capacità di pronuncia a mano a mano che si andranno formando.

 

La pronuncia. Durante il primo anno di vita il bambino inizia a produrre sequenze della stessa sillaba, come attività di gioco con la lallazione. Egli utilizza il proprio apparato fonatorio producendo rapide chiusure del tratto vocale, mentre allo stesso tempo prolunga uno stesso suono vocalico, in genere una /a/, durante la fase espiratoria.
Egli inizia così a fissare mentalmente la corrispondenza fra i particolari suoni prodotti e i movimenti utili a realizzarli, cominciando a costruire all’interno del SNC il centro di Broca, anteriore al solco di Rolando, deputato all’automatismo della pronuncia.
Tale centro sarà completamente costruito verso i sette anni di età, dopo l’eruzione della seconda dentatura. Per tutto questo tempo il bambino potrà essere aiutato a eliminare eventuali imperfezioni, ma mai in modo diretto, soltanto grazie alla correzione indiretta. Si tratta di iniziare con un apprezzamento positivo, tipo “…bene…, proprio così…, bravo…” (per non scoraggiare l’impegno a parlare) e la riproposta corretta di quello che egli ha pronunciato in modo imperfetto.

 

Le funzioni pragmatiche del primo linguaggio infantile.
Halliday(1980) ha studiato e catalogato gli scopi delle prime comunicazioni dei bambini. Ha visto così che per prima emerge la funzione strumentale (io voglio), cioè il bambino cerca di ottenere qualcosa per soddisfare bisogni immediati; contemporaneamente compare la funzione regolatrice (fa come ti dico), con la quale cerca di influenzare il comportamento di chi gli sta vicino.
Emerge quindi la funzione interattiva (io e te), sollecitata dal modellamento da parte della madre, che tende a prolungare il piacere di eseguire insieme al bambino i riti abituali del nutrirlo, lavarlo, vestirlo… sottolineandoli con commenti verbali gioiosi, ai quali anche il piccolo risponde prima con gorgheggi e, più tardi, con veri e propri dialoghi ripetitivi, che hanno l’unico scopo di scambiare affetto.
Per ultima la funzione personale (ci sono anch’ io) quando il bambino tenderà ad affermare con il linguaggio le sue esigenze, mettere in risalto la sua presenza, o anche per discolparsi. Queste prime quattro funzioni compaiono già nella comunicazione non verbale e daranno origine agli usi sociali del linguaggio.
Le ultime tre funzioni compaiono esclusivamente quando un primo linguaggio si è già stabilito e daranno origine agli usi cognitivi. Si tratta della funzione euristica, dal verbo greco per trovare, scoprire, che il bambino adopera per acquisire o approfondire le sue conoscenze sull’ambiente in cui vive. Verso i tre anni di età la maggior parte dei bambini fa propria una parola che sente spesso nei discorsi degli adulti, la parola perché, e tenta di usarla per avere ulteriori informazioni. Ad esempio se il padre gli dice mostrando qualcosa: “vedi quello è un cavallo…, un camion…” o qualsiasi altra cosa, spesso il bambino prosegue interrogando: “perché è un cavallo?…, perché è un camion…?” ma la sua intenzione è di voler sapere qualcosa di più sull’oggetto in questione, non a fini di causa ed effetto. Il padre tuttavia può restare interdetto.
Compare contemporaneamente la funzione immaginativa (facciamo finta) con la quale il bambino arricchisce il suo gioco simbolico, cavalcando una scopa, facendo volare un oggetto come un aeroplano, o più semplicemente giocando con le bambole nella riproduzione di attività familiari, fino a raggiungere infine la funzione informativa (ho qualcosa da dirti) che comprende tutti i messaggi senza un referente percettivo diretto, come avviene invece nel caso della precedente funzione euristica.
Il bambino effettua col linguaggio per primi gli usi sociali, derivati dalle prime quattro funzioni di Halliday e in genere modellati dall’ambiente; per questi usi è sufficiente un codice linguistico ristretto arricchito da intonazioni o gesti indicativi. Si tratta di imparare ad usare il linguaggio per parlare, ma già a questo livello è possibile notare le prime differenze fra un bambino e l’altro.
Solo alcuni bambini avranno l’opportunità di aver modellati dall’ambiente familiare e di iniziare a comprendere anche gli usi cognitivi, derivati dalle ultime tre funzioni di Halliday, cioè come usare il linguaggio per imparare.
Ciò avviene se vive in una famiglia che lo espone a continui commenti su quello che vede e su quello che fa, mentre agisce con i comuni oggetti della vita quotidiana ma, soprattutto, se un genitore prende l’abitudine di raccontargli una fiaba alla sera prima di addormentarsi.
Il bambino non è in grado di comprendere subito tutta la fiaba, ma può farlo gradualmente, ed è per questo che è opportuno leggergli sempre la stessa storia; tuttavia quello che lo attrae e lo conquista non è la fiaba, ma la funzione interattiva densa di affetto che si viene a creare fra adulto e bambino, che finisce con l’avvolgere di un’aura piacevole anche tutto il racconto.
L’essere esposto precocemente alla narrativa è, fra le molte attività infantili, quella maggiormente correlata con il futuro successo scolastico, in quanto abitua il bambino ad astrarsi dal contesto, ad immergersi e ad operare sulla rappresentazione mentale, e a proiettare una sensazione affettiva di piacere sul linguaggio per usi cognitivi, che viene in tal modo fatto proprio.
L’educazione linguistica nella scuola non deve avere come scopo l’analisi o la crescita delle singole dimensioni della lingua, lessico e sintassi, fornendo ai ragazzi molti e diversi tipi di contenuti da cui ricavarle, bensì quello di incrementare la loro capacità di usare il linguaggio a fini cognitivi, con la comprensione e l’espressione dei due vasti generi, narrativo ed espositivo, che comprendono la grande maggioranza di tutti i testi in lingua scritta. Ma questo sarà l’argomento di un prossimo articolo sull’organizzazione logica dei contenuti mentali.

Pubblicato il 2011-04-12 

Dizionario galileiano

· La mente e i suoi processi
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