….. Ricordando la dott.ssa Jacqueline Bickel a Collesalvetti (LI) e Pontasserchio (PI)
Il primo ricordo della dott.ssa Jacqueline Bickel risale all’anno scolastico 1974/75, mio primo anno di insegnamento. Faceva parte dell’equipe medico-psico-pedagogica dell’Istituto S. Caterina di Collesalvetti (Li), gestito, dal 1973 al 1999, dal Centro Italiano Femminile (CIF) di Pisa. In tale struttura furono accolti disabili mentali, fisici e sensoriali gravi e gravissimi provenienti un po’ da tutta Italia. Nel settembre del 1974 fu istituita una scuola Statale.
Eravamo otto docenti molto giovani, tutte ben preparate avendo conseguito il diploma di specializzazione alla Stella Maris di Calambrone (Pi) e vincitrici di concorso, ma già il primo giorno di scuola ci rendemmo conto di dover affrontare sfide molto difficili senza sapere come orientarci. Don Luigi ci comunicò che erano state predisposte alcune classi a tempo pieno e, con un grande sorriso di incoraggiamento, consegnò ad ognuna di noi una risma di carta e dei pennarelli per disegnare. Quando entrammo nelle classi ci rendemmo conto che nessuno di quei ragazzi e ragazze (molti dei quali adolescenti) erano in grado di utilizzare quegli strumenti né per disegnare né, tantomeno per scrivere. Facemmo presente le nostre difficoltà al Direttore Didattico ma, solo dopo circa un mese, conoscemmo l’équipe medico-psico-pedagogica e la dott.ssa Bickel.
Imparammo ad effettuare l’osservazione pedagogica attraverso i parametri che poi sarebbero diventati i fondamentali del protocollo (osservare per programmare). Incominciammo a proporre stimoli sensoriali e cognitivi ai nostri ragazzi ma non tutte le colleghe seguirono con diligenza questa via. Infatti dopo un po’ di tempo, visto i risultati difformi, si convenne di affidare ad una sola di noi l’onere dell’osservazione individuale di tutti i ragazzi della scuola. Fui scelta dalla dott.ssa Bickel ed insieme preparammo semplici protocolli che includevano anche l’osservazione di alunni allo stato quasi vegetativo. Ricordo ancora un gravissimo down che riuscii a far interessare solo ad una candela accesa… Fu attratto dalla fiammella e la sua reazione fu quella di allungare la mano su di essa.
Dopo questo lavoro, che durò circa due mesi, in sede di equipe la dottoressa ci dava le indicazioni per lavorare sulla motricità, sui sensi, sul linguaggio, sul ritmo per favorire l’autonomia, la cura della persona; per migliorare la socialità… L’affettività era il punto “dolens”. Infatti erano tutti istituzionalizzati, alcuni vedevano le famiglie una volta all’anno, altri erano stati rifiutati o tenuti per anni sotto chiave perché i parenti si vergognavano di loro… Durante una seduta di equipe domandai quali di questi ragazzi avrebbero potuto trovare giovamento da un inserimento nelle classi dei cosiddetti “normodotati”. La Bickel rispose che tutti avrebbero dovuto essere inseriti poiché la socialità, l’esempio e il confronto sono sempre forieri di apprendimenti: vivere con coetanei così gravi non aiuta anzi, talvolta fa assumere comportamenti errati. Noi insegnanti contestammo questa affermazione poiché diversi dei nostri alunni ci sembravano non inseribili in classi normali. Fu splendida la sua risposta: “Non è la sola classe che deve interessarsi dell’alunno disabile ma l’intera scuola con la programmazione di opportune attività, prediligendo le attività corporee, musicali e di socializzazione, promuovendo il linguaggio e l’autonomia.”\”\”
Rividi la dottoressa nella primavera del 2001 e conobbi il dottor Giuliano Giuntoli e la dottoressa Graziella Baracchini Muratorio. Questa nuova equipe portava alla mia attenzione un problema diverso. Il servizio di Neuropsichiatria Infantile di Pisa aveva visto aumentare, presso di loro, il numero dei bambini normodotati (anche molto intelligenti) e dei bambini svantaggiati che presentano difficoltà di apprendimentoApprendimento 'Il SNC non sarebbe in grado di sviluppare in modo autonomo, solo sulla spinta offerta dal DNA, tutte le sue potenzialità di pensiero e di linguaggio, come talora dà l'impressione di fare e come spesso viene erroneamente ritenuto. Sarà invece compito di ogni bambino attivare all'interno del proprio SNC queste potenzialità, con la costruzione di circuiti fra neuroni e ulteriori circuiti fra circuiti gi? formati, finendo anche col modificare intensamente dal punto di vista funzionale tutta la struttura nervosa disponibile. Questo attivo processo di costruzione si identifica con l'apprendimento. Apprendimento che ha luogo continuamente e intensamente soprattutto nei primi anni, durante ogni momento di veglia. Sostituire il concetto di sviluppo con il concetto di costruzione non è soltanto un gioco di parole, ma un modo di orientare in forma completamente diversa l'ottica e il compito dell'educazione e dell'insegnamento. Infatti, mentre l'idea di sviluppo si ricollega alla graduale comparsa di qualcosa che è predestinata già fino dal concepimento, l'idea di costruzione comporta la riconsiderazione e la valorizzazione dell'opera degli educatori e di tutto il contesto ambientale che circonda il piccolo. ', 4578 e forte demotivazione allo studio.
Anche l’ O.C.S.E., nel “Understanding Brain” rilevava l’inadeguatezza dei sistemi educativi attuali poiché le scienze dell’educazione sono ancora in fase pre-scientifica: infatti è stata accertata l’esistenza di “ molteplici intelligenze” ma anche la “prevalenza di periodi sensibili”, ovvero epoche in cui si possono costruire stabilmente le reti concettuali per facilitare le acquisizioni.
La consueta terna cognitiva (conoscenza, abilità, attitudine), nota come KSA, deve essere capovolta preferendo un curriculum ASK: le attitudini positive quali la responsabilità, la fiducia e la sicurezza, sono da considerare la chiave del successo; le abilità quali la comunicazione, il saper lavorare in gruppo, l’essere abituati a risolvere i problemi (problem-solving) sono da ritenersi nodali. La conoscenza non necessariamente deve essere nozione personalmente disponibile: è conoscenza fondamentale solo la capacità di ricuperare i dati. Dunque, se durante il periodo pre-operatorio e operatorio concreto non si pongono le basi concettuali per favorire nei bambini e nelle bambine lo sviluppo del linguaggio, del pensiero logico, la capacità metacognitiva e l’autonomia personale, non è più possibile ricuperarle negli anni seguenti.
Si è riscontrato che gli adulti spesso sottovalutano le lievi disarmonie evolutive ritenendo che basti il tempo ed un po’ di buona volontà per superarle. Al contrario riteniamo che sia indispensabile individuare precocemente disarmonie e ritardi nei processi di maturazione intellettiva, coinvolgere le famiglie nella “costruzione delle intelligenze” e avvalersi della consulenza dei servizi territoriali preposti per intraprendere un progetto di ricerca-azione che prenda avvio da una scrupolosa ricognizione delle conoscenze e delle competenze di ogni bambino già al suo primo anno di frequenza della Scuola dell’Infanzia. La metodologia doveva essere di tipo esclusivamente ludico e pratico ed i materiali presentati di facile lettura e di normale uso quotidiano. All’Istituto Livia Gereschi chiamammo il progetto “CRESCERE INSIEME E’ QUASI UN GIOCO” e partimmo con la sperimentazione nel settembre dell’anno 2001/02.
Gli insegnanti dovevano porre particolare attenzione al benessere psico-fisico del bambino e alla motivazione al gioco proposto; se le condizioni favorevoli non si fossero verificate, avrebbero dovuto sospendere la prova per riproporla in altro momento. Per questo il Progetto “Galileo” (Crescere insieme è quasi un gioco), continua ad essere l’asse portante del P.O.F. dell’ Istituto ed interessa tutte le scuole dell’Infanzia, le prime e seconde della scuola Primaria e gli alunni delle classi successive che necessitano ancora di interventi individualizzati. Tale progetto dall’anno 2001 (anno di nascita di questo I.C.) è oggetto di sperimentazione anche in altri Istituti, con modalità diversificate.
Per il conseguimento di tali obiettivi rilevante è:
1 – L’atteggiamento dell’insegnante:
* Crea all’interno della classe un’atmosfera socio-affettiva serena, favorevole all’apprendimento. * Considera importante la collaborazione con i colleghi e con le famiglie. * Parte sempre dalla situazione reale della classe e da quello che l’allievo sa. * Vede negli errori e negli difficoltà degli alunni un momento strategico per favorire il processo di apprendimento e di maturazione attraverso la riprogrammazione dell’azione educativa e didattica. * Non trasmette conoscenze, ma pone la classe in situazione problematica, disposto ad ascoltare le osservazioni e le ipotesi degli alunni guidandoli con chiarezza all’acquisizione di contenuti e di metodi.
L’insegnante, dunque, crea il contesto favorevole per la costruzione delle conoscenze.
* Considera fondamentale l’operatività sia manuale che intellettuale. * Prodotto dell’operatività è tutto ciò di cui un alunno si appropria attraverso “la manipolazione” che rende stabili le acquisizioni. In quest’ottica sono prodotti dell’operatività: pitture, incisioni, grafici, tabelle, drammatizzazioni, testi di vario tipo…
2 – L’ atteggiamento della famiglia
* Collabora con la scuola al buon esito del processo formativo. La collaborazione nasce dalla conoscenza reciproca delle esigenze dei singoli alunni e della classe. In questo senso gli incontri individuali e di sezione/classe costituiscono un’ottima occasione per esaminare la situazione dell’alunno e della classe in generale e individuare le iniziative più opportune per la serenità e la produttività didattico-educativa. * Aiuta i figli ad assumere un atteggiamento positivo nei confronti dell’esperienza scolastica.
Insomma, sono partita da una situazione di estrema difficoltà ma ho imparato a fare l’insegnante e, successivamente, la dirigente.
Grazie dottoressa Bickel
Lida Sacconi
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